Giuseppe Meazza

Nato nel popolare quartiere di Porta Vittoria, iniziò a giocare a 6 anni sui campetti di Greco Milanese e Porta Romana in un gruppo di bambini che lui definì i Maestri Campionesi inseguendo una palla fatta di stracci. Ottenuto finalmente il consenso della mamma (il padre era morto in Guerra nel 1917) a 12 anni inizia a giocare sui campi regolari con i ragazzi uliciani del Gloria F.C., dove un ammiratore gli regala quelle scarpette che tanto desiderava (e lui non poteva comprare) e che il "Brigatti" vendeva in Corso Venezia all'equivalente di circa 3 stipendi.[3][4] A 14 anni compiuti entrò a far parte dell'Internazionale disputando il campionato ragazzi.[5] Fu Fulvio Bernardini a scoprirlo e a insistere presso l'allenatore dell'Inter, Arpad Weisz, affinche' lo inserisse in prima squadra: Bernardini (che sarebbe diventato in seguito un importante allenatore e scopri' numerosi altri giocatori, fra cui un altro che sarebbe poi diventato centravanti dell'Inter, Alessandro Altobelli) si fermava sempre piu' spesso, al termine degli allenamenti, a osservare estasiato, tra i ragazzi delle giovanili, quel ragazzino che con il pallone tra i piedi faceva meraviglie. Bernardini, si narra, fu tanto insistente e convincente che alla fine Weisz volle visionarlo personalmente. Weisz si rese conto che Bernardini non aveva esagerato: a 16 anni il ragazzo fu aggregato in prima squadra e a 17 anni Giuseppe Meazza esordiva nell'Inter, nel torneo Volta. Fu in quell'occasione che gli fu dato il soprannome di “Balilla”: quando l'allenatore Weisz lesse nello spogliatoio la formazione, annunciando la presenza in squadra di Meazza fin dal primo minuto, un anziano giocatore dell'Inter, Leopoldo Conti, esclamo' sarcastico: "Adesso andiamo a prendere i giocatori perfino all'asilo! Facciamo giocare anche i balilla!" L'Opera Nazionale Balilla, che raccoglieva tutti i bambini dagli 8 ai 14 anni, era stata costituita nel 1926 e cosi' allo scherzoso "Poldo" venne naturale apostrofare in quel modo il giovanissimo esordiente. Ma si sarebbe ricreduto presto: Meazza, in quella partita giocata contro l'U.S. Milanese, segno' tre gol, assicurando all'Inter la vittoria e facendo capire a tutti che era nata una stella [6]. "Pepin", come veniva chiamato in dialetto milanese, seguitò a giocare nel ruolo di centravanti nell'Ambrosiana, come era stata ribattezzata l'Inter in epoca fascista in seguito alla fusione con la U.S. Milanese. Iniziò subito a farsi notare a suon di gol e per la sua classe sopraffina, tanto che, non ancora ventenne, guidò la sua squadra alla conquista del neonato campionato di Serie A nel 1929-30 conquistando il titolo di capocannoniere con ben 31 reti.

Sono da ricordare di lui la tecnica eccezionale, il dribbling ubriacante e le celebri punizioni a foglia morta con cui aggirava la barriera. Leggendaria anche la sua tecnica nel battere i rigori, caratterizzata da un doppio passo; in proposito si ricorda anche un curioso episodio: durante il match contro il Brasile, nella semifinale dei Mondiali del '38, apprestandosi a battere un rigore, gli si ruppe l'elastico dei calzoncini; ciò nonostante, sostenendo con una mano i detti calzoncini, calciò il rigore con la consueta finta, spiazzando il portiere brasiliano.

Esordì in nazionale non ancora ventenne il 9 febbraio 1930 a Roma in Italia-Svizzera terminata 4-2 con le sue due reti. La sua carriera in azzurro fu a dir poco splendida: guidò l'Italia alla conquista del suo primo campionato del mondo, nell'edizione casalinga del 1934 realizzando 4 reti, di cui fu fondamentale quella nella ripetizione contro la Spagna dei quarti di finale. La partita venne ripetuta poiché il giorno prima si era conclusa in parità dopo i tempi supplementari (allora non erano previsti i calci di rigore): Meazza si dice fu “sbloccato” dopo che il tecnico spagnolo non schierò misteriosamente il suo spauracchio, il celebre portiere Ricardo Zamora, considerato all'epoca tra i migliori al mondo nel suo ruolo.

Dopo la vittoriosa Coppa Rimet, nella quale aveva ricoperto, come sempre più spesso gli accadeva, il ruolo di interno in luogo di quello di centravanti di inizio carriera, collezionò l'ennesimo terzo posto con la sua Ambrosiana dietro la Juventus, che dominò la scena italiana degli anni '30. La prima partita con la nazionale campione del mondo fu la celebre battaglia di Highbury, così denominata perché si disputò nello stadio londinese di Highbury, in casa dei presunti “maestri” inglesi (che non disputavano la coppa del mondo perché si arrogavano il titolo di "inventori del calcio"). La partita cominciò molto male per l'Italia, che subì nei primi 12 minuti 3 reti e perse per infortunio il centromediano Monti, ma nella ripresa fu proprio Meazza a risollevare le sorti italiane con una doppietta. Tuttavia, la sconfitta per 3-2 in inferiorità numerica contro l'Inghilterra, in una partita durissima e maschia come non mai, è tuttora ricordata non certo come un'onta.

Il 9 dicembre 1934 contro l'Ungheria segnò il gol numero 25 (in 29 partite) con la maglia azzurra, affiancando Adolfo Baloncieri in vetta alla classifica marcatori della nazionale, nella partita seguente contro la Francia fece altri 2 gol che gli consentirono di balzare al comando della classifica in solitario.

In campionato Meazza continuò a dimostrarsi un grandissimo attaccante, anche solo guardando il rullino dei cannonieri: nel 1935-36 si laureò nuovamente capocannoniere, con 25 reti, impresa che ripeté anche nel 1937-38 guidando per la seconda volta l'Ambrosiana alla conquista dello scudetto.

Quello stesso anno fu anche il capitano della nazionale alla coppa del mondo disputatasi in Francia: il secondo, prestigioso successo che portò l'Italia ai vertici del calcio mondiale e che permette di ricordare quella nazionale come una delle più forti squadre di tutti i tempi. Il 16 giugno a Marsiglia nella semifinale dei mondiali del 1938 contro il Brasile mise a segno il gol numero 33, l'ultimo della sua carriera in nazionale, in seguito giocherà altre 7 partite in maglia azzurra senza andare in gol. Il suo record sarà raggiunto solo da Luigi Riva il 9 giugno 1973, sempre contro il Brasile in una amichevole, e quindi superato il 29 settembre dello stesso anno contro la Svezia.

L'anno successivo fu l'inizio del declino del grande campione, a causa di un infortunio, che lo tenne poi lontano dai terreni di gioco per oltre un anno: il famoso “piede gelato”, un occlusione dei vasi sanguigni di un piede.

Nell'autunno 1940 Meazza tornò al calcio giocato, stavolta con la maglia del Milan, ma non si trattava più del campione di un tempo, minato dall'infortunio occorsogli. La sua carriera nazionale si era conclusa l'anno precedente con un bottino di 53 partite e 33 reti, che gli valgono il secondo posto fra i bomber azzurri, dietro al solo Gigi Riva (35 reti). Inoltre, da bomber azzurro, Meazza vanta tuttora la permanenza più lunga al primo posto in esclusiva: 38 anni, 3 mesi e 23 giorni che partono da quando superò le 25 reti di Adolfo Baloncieri il 17 febbraio 1935 (Italia-Francia 2-1) a quando, come si è detto, le sue 33 totali furono eguagliate da Riva il 9 giugno 1973.

Dopo aver disputato il campionato di guerra 1943-44 con il Varese (7 goal in 20 partite disputate) ed una breve permanenza all'Atalanta nel 1945-46, anno in cui ricoprì per un breve periodo anche il ruolo di allenatore, concluse la carriera con un'ultima stagione con la sua maglia nerazzurra, quella dell'Inter.

Dopo il ritiro dal calcio giocato divenne giornalista e poi allenatore, anche se non raggiunse mai i suoi livelli da calciatore. Allenò la Pro Patria, in varie circostanze la sua Inter, e anche la Nazionale nel biennio 1952-53. Ma la cosa a cui si dedicò maggiormente fu quella di insegnare calcio ai ragazzi; infatti divenne responsabile del settore giovanile dell'Inter e fu lui che scoprì Sandro Mazzola.

Alla sua morte gli venne intitolato lo stadio milanese di San Siro.